Olio di palma, sì o no?

Eccomi finalmente con un post che meditavo di scrivere da molto tempo e che dopo aver visitato Expo ho avuto ancora più voglia di scrivere. È un post molto diverso da quanto scritto finora sul blog, ma ci tenevo e mi sono documentata molto a riguardo per cercare di esporre in questo post tutto quello che so sull’olio di palma.

Io ve lo dico fin da subito: non sono contraria all’utilizzo dell’olio di palma. Non voglio convincervi che la mia idea sia corretta, per carità anzi. Vorrei solo fare un po’ di chiarezza perché ho sentito e letto talmente tante castronerie a riguardo che metà basterebbe!
Cominciamo.
Cos’è l’olio di palma? È un olio, quindi un grasso, che si estrae da un tipo di palma, dalla spremitura di frutti di color arancio simili alle olive. Sebbene sia un olio, è costituito in gran parte da grassi saturi, o idrogenati che dir si voglia, così come il burro (che però è solido). L’olio di oliva, invece, contiene principalmente grassi non idrogenati (insaturi). La grande fortuna dell’olio di palma sta proprio in questo: è composto di grassi saturi ma è liquido.oliodipalma
Perché è così largamente usato? Proprio per le sue caratteristiche risulta nelle preparazioni industriali un ottimo sostituto del burro o della margarina. Ricordiamoci brevemente che cos’è la margarina: di consistenza simile al burro, si ottiene per transesterificazione di grassi insaturi o per semplice idrogenazione. Tradotto: si trasforma un grasso insaturo in un grasso saturo. Qual’è la differenza rispetto al burro quindi? Non è di facile irrancidimento, quindi dura di più, ma non contiene i sali minerali naturalmente presenti nel burro.

Torniamo però al nostro olio di palma: essendo insapore e, se raffinato, incolore non altera le caratteristiche organolettiche del prodotto finito. Inoltre è più stabile chimicamente del burro e quindi non irrancidisce, come la margarina. Poiché la resa del processo da cui si ottiene è molto elevata il suo costo di produzione è molto basso. Se si dovesse sostituire questo prodotto con un altro olio, a parità di produzione, servirebbe un’enorme quantità di materia prima, e quindi di piante, da lavorare, se non erro almeno 5 volte quella necessaria per l’olio di palma.
Ma quello che voi vi state chiedendo da quando avete aperto questa pagina è: fa male? Per rispondervi prendo in prestito una frase del mio professore di Chimica Industriale, tale Lino Conte:

…anche lo zucchero è velenoso, provate a mangiarne un chilo!

Cosa vuol dire? Che fa male tanto quanto il burro, tanto quanto la margarina e tutti gli altri grassi saturi che normalmente utilizziamo nelle preparazioni alimentari. Quindi non ha senso dire che “non si comprano più biscotti con olio di palma ma solo quelli con il burro” (o con grassi vegetali idrogenati = margarina), a maggior ragione se a parlare sono persone che friggono nello strutto.
A gran voce si grida anche alla relazione tra olio di palma e cancro, olio di palma e diabete, olio di palma e obesità. Serve che vi dica che tutte queste tre patologie sono legate al consumo di alimenti ricchi in grassi saturi, e non necessariamente all’olio di palma? Ad oggi non esistono studi scientifici che dimostrino il diretto collegamento tra olio di palma e cancro e diabete. L’obesità come tutti sappiamo è una piaga dei paesi sviluppati. Quindi l’olio di palma, il burro e la margarina & co. sono tutti ugualmente correlati a questa patologia.

Ma perché tutta questa preoccupazione per l’olio di palma quindi? Perché fino a qualche anno fa si utilizzava tranquillamente e nessuno diceva nulla?
Spostiamo la nostra attenzione su un altro fronte, quello ambientale. L’olio di palma si produce soprattutto in Indonesia e Malesia. Per i motivi che ho elencato sopra (reperibilità, costo, caratteristiche organolettiche), il mercato richiede sempre maggiori quantità di olio di palma. Ne consegue che, data la mancanza di una regolamentazione sulla coltivazione di queste piante negli anni scorsi, siano state disboscate intere foreste tropicali per rimpiazzarle con piantagioni di palme. Questo ha comporta l’immissione in atmosfera di notevoli quantità di gas serra (e non solo) e la distruzione di habitat naturali per alcune specie animali che sono diventate a rischio, come l’orango. Come già detto prima, sostituire le coltivazioni di palma con altre piantagioni, tipo il girasole, comporterebbe una maggiore occupazione del suolo e un maggior utilizzo di pesticidi, fertilizzanti per ottenere la stessa quantità di prodotto finito.

RSPO_Trademark_LogoLa soluzione? È la consapevolezza. Impariamo a leggere le etichette, impariamo a documentarci prima di fare acquisti. Molte grandi aziende utilizzatrici massive di olio di palma hanno scelto di utilizzare soltanto olio di palma proveniente da coltivazioni certificate. Io le chiamo scherzosamente “orango compliant”, ma esistono veramente e si chiamano certificazioni RSPO – Roundtable on Sustainable Palm Oil. RSPO è un’associazione non profit che mira a controllare l’intera filiera di produzione, garantendo che le piantagioni siano condotte nel rispetto della biodiversità, nel controllo delle emissioni di inquinanti, nel rispetto del territorio.

Ora sta a voi scegliere, olio di palma, di girasole, di oliva, burro… Ma vi prego, se scegliete di non acquistare prodotti contenenti olio di palma, non giustificatelo dicendo che è cancerogeno. L’informazione prima di tutto.
Spero di aver riassunto in modo chiaro tutte le informazioni, vi lascio qualche riferimento scientifico qui e qui. Purtroppo di molti articoli scientifici sono riuscita a leggere solo l’abstract, quindi vi consiglio un giro su google scholar cercando “palm oil nutrition”. Anche Superquark ha di recente mandato in onda un servizio a riguardo (puntata del 20/08/2015). E se ancora non l’avete visitato, fate un giro nel padiglione della Malesia ad Expo. Altre ottime fonti sono un articolo su Wired.it, su ilfattoalimentare.it e un servizio di Report di qualche mese fa (puntata del 03/05/2015).

A presto!

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